Anno 2018: Pinne nobilis in salute nelle acque costiere del golfo di Trieste (Foto di S. Ciriaco)

La moria di Pinna nobilis, che ha colpito pressoché tutto il mar Mediterraneo, ha destato non poca preoccupazione tra gli Enti che si occupano di conservazione. Questo bivalve endemico del mare nostrum, infatti, in una manciata di anni è passato dall’essere abbondante e largamente distribuito in tutto il bacino, all’essere “in pericolo critico” (Critically Endangered – CR), secondo la IUCN Red List, la lista rossa dell’International Union for Conservation of Nature sulle specie a rischio. Basti pensare che il livello CR precede immediatamente quello di “estinto in ambiente naturale” (Extinct in the Wild – EW) e di “estinto” (Extinct – EX), il quale definisce la effettiva scomparsa della specie dal globo.

La storia recente di P. nobilis è però travagliata: durante gli anni ’80 la popolazione del bivalve subì un forte declino a causa delle numerose attività antropiche come la pesca, il collezionismo, l’ancoraggio e l’uso di reti a strascico. Pertanto, il risultato fu l’inserimento della specie nelle più importanti Convenzioni e Direttive in materia di protezione, quali la Direttiva Habitat (Allegato IV) della Comunità Europea e la Convenzione di Barcellona, firmata dai 16 Stati che si affacciano sul Mediterraneo. In poche decadi, questo regime di protezione portò ad una completa ripresa della specie in tutto il Mediterraneo, fino al 2016, quando si manifestò un evento di mass mortality che sconvolse la popolazione del bivalve a partire dal Mediterraneo occidentale [1], espandendosi poi nel resto del bacino [2]. Per quanto riguarda le coste dell’Alto Adriatico, nell’autunno del 2019 cominciarono a manifestarsi i primi segnali dell’epidemia e nel 2020 la moria di massa raggiunse il suo apice [3].

Anno 2020: Individuo di Pinna nobilis pronto per essere esaminato presso i laboratori dell’Università di Trieste (foto di L. P. Castelletto)

Inizialmente il responsabile dell’epidemia fu individuato nel protozoo Haplosporidium pinnae [4] [5], un microrganismo patogeno capace di intaccare il sistema digerente del mollusco, riducendo progressivamente la sua capacità di alimentarsi e causandone infine la morte. Recenti studi hanno invece evidenziato come esista una matrice multifattoriale responsabile dell’epidemia [6] [7], in cui sono coinvolti anche diverse specie di batteri. Questo suggerisce che le cause dell’alto tasso di mortalità di P. nobilis non sono ancora del tutto chiare [8].

In questo scenario si sviluppa il LIFE PINNA, ai blocchi di partenza presso le strutture europee deputate alla implementazione del progetto. Lead Partner è l’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente della Liguria (ARPAL) che, insieme agli altri partner Università di Sassari, Università di Genova, Parco Nazionale dell’Asinara, Istituto Nazionale sloveno di Biologia (NIB), Triton Research e Shoreline, si occuperà di coordinare le azioni di restoration di Pinna nobilis. Proprio la restoration, infatti, è al centro del programma per la protezione ambientale delle Nazioni Unite nel decennio 2021-2030, con la Decade on Ecosystem Restoration.

Un ulteriore aspetto interessante del progetto sono le aree dove questo si sviluppa che, non a caso, comprendono le acque del Friuli Venezia Giulia e della Slovenia. Lungo le coste di queste zone, infatti, la densità di Pinna nobilis è di gran lunga superiore alla media [9] mediterranea e, in aree storicamente tutelate come l’AMP Miramare, nel 2018 raggiungeva valori di circa 50 ind. vivi/100 m2. Inoltre, rispetto al resto del bacino mediterraneo, l’evento di mortalità di massa si è verificato più tardi e, in confronto a zone più meridionali dove gli individui di Pinna nobilis erano tutti o quasi morti, lungo la costiera triestina il 20-40% circa della popolazione si conservava vivo. Attualmente, anche presso le coste friulane, giuliane e slovene la mortalità del bivalve risulta quasi totale ma sono stati osservati individui ancora vivi. É dei mesi scorsi l’incoraggiante notizia del ritrovamento di un individuo di P. nobilis in riproduzione, come testimonia l’emissione di gameti ripresa nelle acque dell’AMP Miramare dal personale tecnico di Shoreline. Risulta dunque di fondamentale importanza rintracciare esemplari vivi di Pinna nobilis, nella possibilità che questi abbiano sviluppato una resistenza naturale al mix di patogeni che ha investito il resto della popolazione mediterranea.

Anno 2020: Subacquei del Centro Sommozzatori Triestino all’opera durante un’attività di Citizen Science (Foto di S. Ciriaco)

Ad ogni modo, Shoreline non è nuova in materia di progetti su Pinna nobilis. Nel 2019, infatti, grazie a MedPan, il network mediterraneo delle Aree Marine Protette, era stato attivato RESTORFAN, un progetto coordinato dall’AMP Miramare con diversi importanti obiettivi. Tra questi, vi era quello di valutare l’utilizzo di impianti flottanti per la raccolta, e il successivo allevamento, di individui giovani recuperati dai filari delle mitilicolture, dove spesso le larve attecchiscono. Inoltre, nel contesto del golfo di Trieste, erano state attuate una serie di azioni di citizen science che avevano visto il coinvolgimento dei circoli subacquei locali nel monitoraggio della popolazione del bivalve.

Ecco perché, in questo LIFE PINNA, le azioni di restoration partiranno proprio dal golfo di Trieste e dalla Slovenia e verranno implementate nel mar Tirreno. Verranno coinvolte diverse aree protette come l’Area di Tutela Marina Capo Mortola, l’AMP Isola dell’Asinara e l’AMP Isola di Bergeggi, ossia aree dove la popolazione di Pinna nobilis è pressoché scomparsa. Non da ultimo, nel contesto adriatico, l’AMP Miramare e il Parco naturale di Strunjan rappresenteranno ulteriori aree destinatarie delle azioni. Parallelamente alla restoration, verranno condotte svariate analisi genetiche, su specie affini a P. nobilis, per determinare la natura e la misura dell’infezione. Infine, tra gli obiettivi del progetto, vi è anche quello di individuare le best practices per il traspianto degli esemplari selezionati e la crescita in apposite nurseries, al fine di attivare processi di replicabilità in altre aree idonee.

Nei prossimi 4 anni ci aspetta un intenso e stimolante lavoro che ci permetterà di avanzare nella conoscenza della specie e delle variabili collegate alla sua distribuzione. Da soli, però, non potremmo andare lontano e dunque siamo a dir poco entusiasti di collaborare con Università, Aree Marine Protette, Istituti di ricerca, Enti pubblici e Organizzazioni che operano nel campo della conservazione e divulgazione e con i professionisti e ricercatori che fanno parte di questa squadra già affiatata. Siamo tutti schierati al via, non vediamo l’ora di cominciare!